Sulle tracce de I Vaganti
Responsabile del progetto: Giovanni Cestino
Nel 1950, all’interno del Liceo musicale di Alessandria (oggi Conservatorio “A. Vivaldi”), nasce un coro polifonico giovanile, “I Vaganti”, per iniziativa e sotto la direzione del bibliotecario dell’istituto, Mario Panatero (1919-1962). Panatero fu compositore di solida formazione e di grande raffinatezza. Allievo di Ettore Desderi (1892-1974), fu particolarmente vicino a Dallapiccola e agli autori della Seconda Scuola di Vienna, di cui sposò il metodo dodecafonico. Tradusse in italiano Models for Beginners in Composition di Arnold Schönberg e frequentò l’ambiente degli Internationalen Ferienkurse di Darmstadt nei primi anni Cinquanta, ma ciò nonostante la sua musica non raggiunse grande diffusione. Panatero soffriva purtroppo di una salute piuttosto fragile e trascorse perciò una vita breve e appartata, confinato perlopiù nella sua città. Contribuì però con varie iniziative alla vita culturale di Alessandria, e una di queste fu appunto il coro da camera “I Vaganti”, attivo nei primissimi anni Cinquanta e formato da ventinove coristi.

Per loro Panatero scelse un repertorio non molto esteso ma estremamente variegato, che dal noto canone medievale Sumer is icumen in arrivava fino alla musica corale del suo maestro Desderi, passando per la polifonia del Cinquecento (sia sacra che profana) e per diversi autori del canone come Bach, Mozart, Brahms e Verdi. Panatero curò personalmente la trascrizione di ciascun brano, aggiungendo spesso indicazioni dinamiche ed espressive che da un lato “mettevano per iscritto” la sua interpretazione, dall’altro fissavano al livello del testo indicazioni di prassi per i propri cantori. Le trascrizioni non ci sono giunte in partitura ma solo in forma di parti staccate in copia anastatica, attraverso i libretti che Panatero realizzò personalmente per ciascun corista. Di questi ne restano oggi appena cinque: due per la parte di Soprano, due per quella di Contralto e uno per quella di Basso, rinvenuti quasi per caso qualche anno fa durante una ricognizione di un fondo di deposito della Biblioteca del Conservatorio di Alessandria.

Ciascun “Libro dei Vaganti” – come recita l’etichetta di mano del maestro – ci restituisce uno spaccato del modo in cui il singolo cantore lavorava sulla propria parte: i “Vaganti”, come tutti i coristi, aggiungevano annotazioni e commenti relativi sia alle proprie necessità che alle indicazioni del loro direttore. Ciascuno annotava ovviamente in modo e in misura diversa, a seconda delle proprie capacità e della propria inclinazione o del proprio carattere.

Il progetto di ITER Research Ensemble su queste fonti, per molti versi straordinarie, procede da un lato studiando i brani su copie dei materiali originali (nel caso della parte di Tenore, ricostruendola per congettura a partire dalle parti superstiti). Lo scopo è far suonare di nuovo, il più scrupolosamente possibile, le trascrizioni di Panatero di brani come Sicut cervus di Palestrina o Il bianco e dolce cigno di Arcadelt. Inevitabilmente, nel fare questo sulla base di una trascrizione, si costruisce una sorta di “interpretazione al quadrato”, che anziché partire dal testo dell’opera sceglie come punto di partenza un testo che esprime un momento della sua ricezione nel tempo, testimoniato appunto dai libri dei Vaganti.
Allo stesso tempo, in ognuna delle sessioni di lavoro di ITER – tutte registrate e documentate con un sistema a più camere e – ogni volta che un membro di ITER annota la propria parte è tenuto a scattare una foto dell’annotazione. Tutte le annotazioni vengono poi raccolte e catalogate per corista. In questo modo, il gruppo compie una sorta di indagine “controllata” sulla pratica dell’annotazione, individuando un metodo per studiarla nel suo svolgersi nel tempo e riflettendo sul proprio modo di annotare.
I brani studiati in questo modo vengono poi portati in concerto: questa ricerca costituisce infatti una delle parti della performance multimediale Canti, luoghi, fonti. L’esecuzione di questa musica non dà solo voce alle trascrizioni di musica antica di un ignoto maestro piemontese del Novecento. Eseguita dalle stesse parti dei “Vaganti”, la performance si carica però di un intenso valore emotivo: ricongiungere idealmente le voci e l’esperienza musicale di un coro di due cori (ITER e i “Vaganti”) in ultima analisi non così diversi, seppur separati dal tempo.